Il Radioso maggio fu il periodo subito precedente l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale, corrispondente al mese di maggio 1915. Durante tale periodo, si susseguirono in tutto il paese manifestazioni e scioperi che vedevano contrapposti due schieramenti: gli "interventisti" da una parte, che premevano per l'ingresso dell'Italia in guerra, e i "neutralisti" dall'altra, che al contrario speravano di tenere fuori il Paese dal conflitto. Questo periodo fu definito enfaticamente dai sostenitori dell'intervento come «radiose giornate» di maggio, mentre furono ribattezzate dagli oppositori come «sud americane giornate di maggio», per accentuare il carattere facinoroso e intimidatorio che ebbero gli interventisti[1].
Nonostante la diatriba tra i due schieramenti durasse ormai da quasi un anno, solo nel mese di maggio si ebbe una vera e propria escalation di avvenimenti che portarono in piena luce le contrapposte dinamiche delle forze popolari che si erano affermate in Italia durante il periodo di neutralità. Ad innescare gli eventi fu la crisi politica esplosa il 9 maggio 1915, giorno in cui Giovanni Giolitti si recò a Roma per prendere le redini della maggioranza parlamentare neutralista, cosa che imbaldanzì i deputati del medesimo orientamento, che erano la maggioranza, e scompaginò i piani dell'allora presidente del Consiglio Antonio Salandra e del re Vittorio Emanuele, gettando nello sconcerto le file degli interventisti. Salandra, convinto interventista, si era già legato con le forze dell'Intesa con un patto segreto che obbligava l'Italia a intervenire in guerra entro un mese dalla firma del patto stesso[2], ma Giolitti, che aveva la fiducia della maggioranza dei deputati della Camera, aveva tecnicamente anche il potere di revocare il patto. Solo l'imponente campagna editoriale e propagandistica, spinta dagli interessi economici di alcune grandi imprese interessate alle commesse militari, dai movimenti nazionalistici e dalla maggior parte della élite intellettuale della nazione, poté sovvertire il volere della maggioranza neutralista italiana, consentendo al governo Salandra di ratificare il patto e dare inizio il 24 maggio all'avventura bellica dell'Italia nella prima guerra mondiale[3].
Il maggio 1915 è considerato uno dei momenti più importanti della storia italiana, sia perché in quel mese vi fu l'ingresso in guerra, sia perché la storiografia individua in questo nodo storico una svolta nella lotta politica del paese, dove la violenza caratterizzò la deriva politica, antidemocratica e antiparlamentare portata avanti dalla destra, che avrebbe profondamente determinato il corso successivo degli eventi. In quelle settimane la piazza - luogo in cui la sinistra aveva solitamente ampio campo - divenne scena per le manifestazioni della destra nazionalista, la quale prese campo con lo scatenamento di istinti aggressivi in contrapposizione a un presunto nemico interno indicato in tutti coloro che si opponevano alla guerra[4]. Violente manifestazioni interventiste si scatenarono in tutto il paese, espressione di una tensione febbrile che sembrava simile a quella che ad agosto 1914 aveva caratterizzato l'intervento in guerra degli altri paesi europei, ma con significative differenze: l'interventismo italiano era minoritario nella popolazione e l'ingresso in guerra non fu espressione di quella unità nazionale che unì le forze politiche nei vari paesi europei (la cosiddetta "unione sacra"), ma «una costruzione forzosa in direzione di un progetto eversivo mirante a sovvertire l'ordine esistente per una "più grande Italia"»[5]. Come scrisse lo storico Antonio Gibelli: «[...] si può discutere se l'azione eversiva dei nazionalisti possa considerarsi un "colpo di Stato", come i neutralisti lo definirono: se da un punto di vista formale nella decisione la legalità fu mantenuta, nondimeno essa portava già chiarissima l'impronta di una sconfitta del sistema parlamentare in quanto tale ed era una prova fatale della sua fragilità»[6].